Sono passati pochi mesi da quando auguravo a Papa Bergoglio, appena eletto, di ‘saper rovesciare la piramide‘.
Di gesti e di parole ne abbiamo a decine sotto gli occhi, ognuno potrebbe stilare la sua personale classifica. Gesti e parole che vengono amplificati, sviscerati, sminuzzati, letti da sotto o da sopra, incasellati, usati spesso per tirare la giacchetta di Francesco in un senso o nell’altro, per fargli dire quello che vogliamo, spesso distorcendo e snaturando il gesto o la parola di quello che in realtà è.
Devo dire che da un po’ di tempo seguo tutto questo bailame mediatico con un po’ di preoccupazione. Per una “papolatria” dilagante che, son sicura, secca pure il diretto interessato, i cui gesti ‘normali’, ‘semplici’, e ‘poveri’ non sono fatti seguendo schemi o piani di comunicazione particolari, ma sono la concretizzazione di un pensiero e di un sentire su cui Francesco prova ad agire.
Mi son detta che devo stare attenta. Perché abbiamo davanti a noi il rischio concreto di banalizzare ciò che Francesco, provando a vivere, ci propone. Corriamo il rischio di essere seduti in una platea di teatro ad applaudire una rappresentazione. E allora diventa lecito il “mi piace”, “no, preferisco quell’altro attore”, “bravo, bis”, “mai nessuno come lui” … Ma tutto poi si ferma lì. Chiudiamo Facebook e tutto nella nostra vita scorre come sempre, nell’indifferenza per l’altro, rispondendo male a chi ci ha chiesto un favore, sparlando del nostro vicino … è servito a qualcosa applaudire? Ha cambiato davvero qualcosa in me o ho seguito l’onda emotiva naufragata a riva appena passata?
Intendiamoci: anche a me Francesco piace molto. Ma sento più pressante che mai che questo essere toccata dai suoi gesti deve interrogarmi, deve scuotermi, si deve tramutare in una conversione concreta nella mia quotidianità. Ogni sua bella parola devo provare a tradurla in miei gesti.
Altrimenti tutto il mio lodare, esaltarlo, finisce per essere fine a sé stesso, un bel modo per mettermi la coscienza a posto per qualche minuto.
In fondo Papa Francesco piace anche per questo: una cosa dice, una cosa fa. Prova – semplicemente e con i limiti che ogni persona si porta dietro – a vivere il Vangelo, secondo la sua sensibilità e il suo modo di essere. E chiede a noi di fare lo stesso. Parlare con la vita più che con le parole. Ci chiede di alzarci da quella poltrona e darci da fare, agire. Richiede di cambiare il cuore, concretamente con i fatti.
Seguire e apprezzare Francesco (e attraverso di lui il Vangelo) solo a parole ci porterebbe a “tradire” lui e il messaggio di fondo. Per questo richiede una scelta di azione.
Certo, nessuno dice che sia semplice e che non comporti un’immane fatica. Io penso di non esserci ancora mai arrivata e chissà se mai ci arriverò. Ma ci si può, ci si deve provare.
E come sempre lo dico a me stessa per prima: cara Dani, guarda e stupisciti pure, ma applaudi di meno e tirati su le maniche.
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Bello questo post. L’ho conservato per 20 giorni prima di poterlo leggere con calma. La tua è una riflessione (e un’attenzione) che dovremmo avere tutti nelle nostre giornate…
Ciao,
Emanuele
E’ un esercizio che sto cercando di fare da un po’ di tempo anche con un’altra persona che conosco e che per molti versi assomiglia tanto a Papa Francesco. Quindi forse mi è venuto più semplice sentire il bisogno di questa attenzione anche con la sua figura…ma penso che sia indispensabile, altrimenti rischiamo veramente di creare degli “idoli” – e solitamente son proprio queste persone che è l’ultima cosa che vogliono facciamo con loro.