Ieri sera ho guidato da Busto Arsizio, dove sono stata a vedere una partita di pallavolo, fino a casa. Ho macinato un po’ di chilometri, al ritorno guidando attraverso grandi banchi di nebbia.
Mi è sembrata rappresentare, in ogni sua fase, la metafora di una vita. Quella vita che a volte è anche un po’ la mia.
Succede così. Che tutto sembra chiaro, limpido. E allora si va spediti.
Poi però incontri un banco di nebbia e allora devi rallentare, devi fare attenzione. Devi ‘cercare’. A volte neanche accendere gli abbaglianti o i fendinebbia migliora molto la situazione. Non vedi dove vai, ti chiedi che cosa ci sarà il prossimo metro.
Ma sono domande che restano senza risposte e non puoi che fare altro che continuare ad andare avanti, nella speranza che prima o poi si diradi un po’ quella nebbia che invece in certi punti sembra essere ancora più densa e pericolosa.
Poi succede che arriva un tir, con tante luci sul posteriore che sembra un albero di Natale. Ti si piazza davanti ed incosapevolmente ti fa strada. Ti guida. Illumina quel pezzo di asfalto davanti a te, non può certo far sparire la nebbia, ma apre dei varchi nell’incertezza e nella confusione.
Non sempre ti ‘tira la volata’ fino alla fine, ma ti da un aiuto indispensabile per quel pezzo di strada che condivide con te.
Alla fine la nebbia si dirada. A volte, non sempre.
Questa la storia che ho vissuto ieri sera alla guida di una auto. Questa la storia che vivo ogni giorno: da automobilista, ma magari inconsapevolmente anche da Tir.