Torno a scrivere qui dopo tanto tempo.
Tante volte avrei voluto farlo ma poi sembrava che mancassero le parole. Non che le abbia ritrovate tutte, alcune giaciono in attesa di essere ripescate. Ma riprendere a scrivere qui è sempre un bell’esercizio, con me stessa.
Giovedì scorso sono andata in ospedale a trovare la nonna, che era lì da qualche giorno per una crisi d’asma.
Mi ha fatto impressione entrare nell’ospedale. Ho percorso tante volte i corridoi alla ricerca di quello giusto dove era la nonna e ho incrociato, guardando nelle stanze, tanti volti, per lo più di anziani.
Mi è venuto un groppo in gola, ma non capivo cosa lo muovesse.
Poi finalmente sono arrivata nella stanza giusta.
Nel letto accanto a quello della nonna c’era una signora con una flebo nel braccio che mi guardava.
Ad un certo punto mi ha detto: “Signorina, mi può fare un favore?”. “Certo!”. “Mi può girare?”. “Ok”. L’ho girata e dopo mi ha chiesto di grattarle la schiena. Le ho grattato la schiena. Poi ha chiuso gli occhi, come per dormire.
Poi ha riaperto gli occhi e dopo un po’ la scena si è ripetuta.
Quando era ora di andarmene, mi sono voltata e le ho chiesto: “Come si chiama”? Lei mi ha risposto. “Efisia”. “Come scusi?”. “E-f-i-s-i-a”.
E’ una cosa che ho imparato ultimamente, quella di chiedere il nome delle persone che incontro. Mi capita al mercato, ai ragazzi che vendono gli occhiali davanti all’università… Crea un legame, chiedere il nome. Non è più solo un volto, è un universo che ti si staglia davanti e che tu per qualche minuto puoi accogliere dentro di te.
La signora Efisia. Prima di uscire dalla stanza mi ha fatto un grande sorriso.
Mi sono chiesta cosa vuol dire stare nel letto di un ospedale e avere bisogno che qualcuno ti gratti la schiena.
Sono uscita da quell’ospedale sotto la pioggia, senza ombrello. Con negli occhi il sorriso della signora Efisia che si è allargato davanti per ringraziarmi di quel piccolo servizio che le avevo fatto. Sentivo che il mio cuore per un po’ era diventato più largo e per qualche tempo aveva trovato spazio anche la signora Efisia.
Ecco, forse il groppo in gola entrando in quel luogo era la paura di non saper meritare una “vita piena”. Di non sapere avere un cuore largo. Un cuore capace di allargarsi. Che non condanna, che comprende, che accompagna.
Non ne sono capace, conosco i miei infiniti limiti con cui ho a che fare tutti i giorni. Ma almeno ci voglio, ci posso provare.
Io credo che il tuo cuore sia capace di allargarsi 🙂 Bel pezzo! 😉
Grazie … sempre troppo buona Cri, così mi fai arrossire in pubblica piazza 😀