Cari Matteo e Stefania,
sono una studentessa di Torino, iscritta al secondo anno del corso magistrale Comunicazione e Cultura dei media.
Ho scelto di riprendere gli studi dopo 3 anni dalla mia laurea triennale in Informatica, dopo aver lavorato, essere stata in cassa integrazione ed essere stata licenziata – quante esperienze per una 25 enne! – scegliendo questo corso perché sentivo la necessità di formarmi accademicamente in materie umaniste, dopo tanto contatto con computer, bit e tecnica. Perché sentivo la necessità di sapere cosa è l’uomo, di avere strumenti per saper guardare all’ambito che tanto amo, la comunicazione, da una prospettiva che metta al centro l’uomo.
Nel mio piano carriera ho la possibilità di inserire 12 crediti con esami a scelta, da scegliere all’interno del mio Ateneo. Ho cercato un po’ nella mia università ma non ho trovato nessun corso che mi soddisfacesse. Ho visto e mi sono fatta tentare da diversi corsi più ‘pratici’ – perché poi la comunicazione è alla fine un aspetto pratico e concreto – ma nessuno mi ha entusiasmata.
Così mi sono ricordata di una professoressa, di cui avevo seguito con interesse un intervento ad un convegno, che insegna all’Università Cattolica di Milano ‘Sociologia e antropologia dei media’.
Sono andata a cercarmi il suo programma d’esame e mi ha entusiasmato. Mi sembrava proprio quello che mancava al mio percorso di studi perché, quando si dice la beffa, all’UniTo i corsi di Sociologia e Antropologia della comunicazione sono nella triennale e posso inserire nel mio piano carriera solo corsi di tipo magistrale.
Così mi sono fatta stuzzicare dall’idea di poter andare a Milano per seguire il suo corso e dare quell’esame nei miei crediti liberi rinfrancata da alcune righe scritte nel regolamento del mio corso di laurea.
Ho incominciato la mia trafila burocratica, ben consapevole di mettermi in un bel calvario.
Ho scritto in Segreteria Studenti: mi è stato risposto che la cosa non era possibile perché non ci sono accordi o convenzioni con l’Università. Ma quello che non c’è si può creare, no? 😉
Non mi sono persa d’animo e ho scritto al professore che segue il nostro corso di laurea ponendogli la stessa domanda.
Il prof U.Volli (ci tengo a citarlo e ringraziarlo pubblicamente perché spesso ci lamentiamo e denunciamo quello che non va e che i professori nelle nostre università si fanno i fatti loro e sono evasivi, ed invece lui è stato molto disponibile nell’aiutatmi e penso sia giusto sottolineare il positivo) nonostante fosse davanti ad una richiesta per lui inedita, ha inoltrato la mia domanda negli organi universitari competenti e nel giro di un giorno ho avuto la risposta che aspettavo: da parte della mia università non c’erano problemi a darmi questa possibilità.
Ora si trattava di capire come fare con la Cattolica, che però avevo dimenticato essere università ‘privata’.
Mi è stato risposto che per fare un corso singolo devo:
– pagare la tassa di iscrizione di 75 euro. Ok.
– pagare 60 euro per ogni credito formativo del corso scelto. Cioè 60 x 12 CFU
Due rapidi calcoli, poter dare quell’esame mi viene a costare 795 euro. A cui ovviamente dovrei aggiungere i soldi del treno Torino-Milano 2 volte alla settimana fino a dicembre, che avevo però ovviamente già messo in conto e che avrei speso volentieri.
In questi giorni sono molto combattuta: quel corso mi piace davvero tanto e mi sembra il tassello mancante del mio percorso universitario. Dall’altro trovo che non abbia senso e, in un certo modo non sia morale, spendere, per un solo esame, in proporzione quanto spendo per essere iscritta per più di metà anno all’UniTo.
Certo, l’UniCatt è università privata e non un ente di beneficienza, quindi giustamente fa come ritiene opportuno.
Non ce l’ho con UniCatt, ed è importante che sia chiaro. Perché poteva avvenire da qualsiasi altra parte e perchè giustamente queste sono oggi le regole del gioco. E sono sicura che ci siano buoni motivi perchè siano così.
Cito esplicitamente l’università non per farne cattiva pubblicità, non per fare class action di nessun tipo: solo per completezza di informazioni e proprio perché è un caso particolare che però mi sembra sintetizzi per bene alcune peculiarità e criticità del sistema italiano.
Non è un problema in senso stretto di soldi: se c’era da corrispondere qualcosa per ‘il disturbo’ lo potevo mettere in conto. Mi sembra esagerato l’ammonto totale, quello si.
Quello che dispiace è che esistano queste ‘barriere’ alla circolazione del sapere e della conoscenza all’interno della stessa nazione.
Dispiace sapere che, invece che favorire la condivisione, si proteggano gelosamente le proprie ‘ricchezze’, anche culturali, ponendo, di fatto, delle barriere in ingresso attraverso queste richieste economiche.
Dispiace sapere che pur essendo iscritta ad un’università italiana – e quindi contribuendo economicamente al suo funzionamento – se voglio sostenere un esame in un altro ateneo sì privato (ma forse in parte anche ‘parastatale’ perché il valore dei crediti è lo stesso di quello della mia università così come il riconoscimento che lo Stato fa al titolo di studio rilasciato da UniCatt) debba sborsare quelle cifre.
Dispiace vedere le università come isole a sé, come imprese il cui unico scopo non sembra sempre essere quello di formare culturalmente le nuove generazioni, essere culla della cultura, incentivo a perché questa cultura sia condivisa; ma appunto, piuttosto sembrano essere imprese locali – in fondo a pensarci bene io con le mie tasse pago e sovvenziono solo “l’impresa” UniTo? – che cercano di difendere il proprio spazio e i propri saperi, scoraggiando con oneri monetari così alti la possibilità che uno studente possa seguire corsi in altre università.
Possibilità rispetto a cui esiste già un tetto massimo di crediti, per cui io non posso sostenere comunque più di tot crediti in un Ateneo diverso dal mio.
Dispiace perché la “contaminazione” non solo di saperi, ma anche di esperienze, penso che possa essere un’arma in più per la nostra crescita culturale e umana, oltre che di cittadini. Mi è piaciuta molto la motivazione con cui l’anno scorso diversi studenti provenienti da diverse facoltà – tra cui la sottoscritta – sono stati ammessi al corso di laurea magistrale di comunicazione: era la possibilità di fare un percorso comune mettendo ognuno a servizio la propria diversità.
Mi stuzzicava l’idea di trovarmi a confronto, frequentando questo corso a Milano, con una realtà diversa dalla mia, seppur non così lontana, senza il bisogno di partire e andare chissà dove in Europa.
Fa sorridere tra l’altro che esistano fior di accordi e convenzioni con università di mezza Europa e qui in Italia tutti ci si guardi reciprocamente con sospetto l’un l’altro e risulti così difficile immaginare che uno studente iscritto all’Università in una città possa avere come punto fermo la propria università di appartenenza, ma possa poi anche attingere un pezzo del suo percorso in un’università di un’altra città. Che possa comporre il proprio percorso universitario come un puzzle con pezzi presi quà e là, a seconda dei propri interessi.
Forse le prime vere sfide culturali le dobbiamo vincere proprio tra noi italiani…
Cari Matteo e Stefania, alla fine ho rinunciato a questo mio desiderio e ripiegherò su qualche corso del mio Ateneo perchè l’inizio dell’università è vicino e sopratutto perché ho imparato nella mia vita a non fare guerre di principio, anche quando mi sembra di poter essere un po’ dalla parte della “ragione”.
Ma guardo in positivo: questa rinuncia sarà l’occasione per cercare di valorizzare qualche corso ‘nascosto’ e che probabilmente mi è sfuggito all’interno del mio Ateneo.
E, a differenza di tanti, io non voglio scappare dall’Italia, perché mi piacerebbe poter dare il mio piccolo contributo a costruirla, un’Italia migliore e diversa.
Avrei voluto che questa capacità passasse attraverso la possibilità di imparare tante cose interessanti in quel corso: pazienza, non è caduto il mondo e troverò il modo di arrangiarmi, andrò a cercarmi i libri proposti nella bibliografia e me li studierò a parte.
Le regole sono queste e non voglio un trattamento di favore. Vorrei, e questo è il senso di queste mie righe, che si possa far qualcosa ed intervenire perché tanti studenti nei prossimi anni possano formarsi culturalmente in un’Italia diversa, potendo scegliere il “meglio” per sé. E per l’Italia.
Daniela