Mi è capitato, ultimamente, di dare una sistematina al computer di un’amica. Tra le varie cose, siccome su Windows 8 i giochi sono a pagamento, le ho installato una suite alternativa e gratuita. E così mi sono ritrovata davanti al Solitario, che non utilizzavo più da qualche anno.
Essendo un periodo un po’ di stress vari, ho pensato che era l’occasione per ridargli una spolveratina.
Così dopo aver usufruito un pp’ della versione del mio computer, sono andata sul Play Store, ho letto qualche recensione, cercato il buon compromesso tra la pensantezza e la fruibilità e ho installato una app del solitario anche sullo smartphone.
La fine (per la mia produttività).
A parte la battuta, sarà il periodo, ma giocandoci un po’ mi sono balzate all’occhio alcune similitudini con la nostra vita. Provo in queste righe a riassumere alcune situazioni che immagino tanti dei giocatori di questo gioco si sono trovati ad affrontare:
Situazione 1)
Primo colpo d’occhio alle carte: 2 K neri, due J rossi, nessuna carta per fare una prima mossa senza pescare dal mazzo. Insomma, un disastro.
Il primo pensiero: non ce la farò mai, è una partita persa in partenza. La prossima mossa? Nessuna ulteriore possibilità. Impostazioni –> Nuova partita. Reset totale.
Situazione 2)
Qualche buona carta, qualche mossa che si può fare subito. Ma poi un altro sguardo, magari dopo una prima passata di tutte le carte, ed eccola lì, la sfiducia di fronte alla sensazione di trovarsi davanti ad un vicolo cieco. La soluzione che si dipana davanti è sempre quella: ripartire da zero.
Situazione 3)
Dopo un po’ di belle mosse e intuizioni varie arriva il bivio. Ho sul tavolo due carte uguali da giocare, oppure ho una casella vuota dove posso spostare uno dei due K: già, ma quale? Tanto lo so che scoprirò la carta sbagliata e sotto troverò una carta inutile. Ecco. Lo sapevo. Reset.
Situazione 4)
Sono arrivata praticamente quasi alla fine ma due carte rimangono coperte e non riesco a togliere quella di sopra il mazzo. Sotto c’è proprio quel 5 che basterebbe per finire la partita, visto che l’altra coperta è una donna. Ma quel 5 no, caspita, dovrei proprio tirarlo fuori perché mi blocca tutto. Ma non ci sono altre soluzioni se non dichiararmi sconfitta.
Sono arrivata quasi alla fine, ma non ce l’ho fatta.
Situazione 5)
Cado in tutte le situazioni precedenti: le carte non sono buone ma un po’ per la forza di volontà, un po’ per sfida, un po’ per la voglia di non arrendermi e di provarci riesco ad arrivare alla fine, scoprire tutte le carte e ricomporre tutte le 4 file. Ho vinto!
Ecco. Mentre mentalmente durante il gioco mi si prefiguravano tutte queste situazioni, mi sono accorta che in fondo stavo descrivendo la mia vita. Che in fondo avevo qualcosa da imparare, anche dal Solitario.
Stavo descrivendo le volte in cui il pregiudizio mi ferma, oppure quando lo sconforto non mi permette nemmeno di partire o mi fa fermare appena incontro un ostacolo. Solo che non sempre ho la possibilità di ridare le carte alla velocità di un click, nella vita reale: le carte con cui devo giocare sono quelle.
Stavo descrivendo tutte quelle volte che mi sono trovata e mi troverò di fronte ad una scelta da cui forse non potrò tornare indietro con la stessa facilità del “annulla ultima mossa”. Una scelta che impone il rischio di trovarmi con un pugno di mosche in mano.
Stavo descrivendo i miei fallimenti, tutte quelle volte in cui pur avendocela messa tutta, pur avendo messo in campo l’astuzia, l’intelligenza, la volontà necessaria, il risultato che ne è uscito non è quello che mi aspettavo.
Stavo descrivendo anche però le volte in cui ce l’ho fatta: anche partendo da carte non favorevoli, con sudore, con la forza di volontà, con la voglia di non arrendersi alla prima difficoltà incontrata, anche se magari per un pelo.
E ho imparato qualche trucco.
Come ad esempio saper aspettare e non farmi prendere dalla fretta: se c’è una carta che ho nel mazzo, che potrei giocare ma senza che questo mi aiuti a scoprirne un’altra di quelle che ho sul tavolo, forse posso aspettare a farlo. E 9/10, scoprendo altre carte sul tavolo, la ritroverò, senza così trovarmela poi doppia.
Come ad esempio non sfogliare le carte aspettando il guizzo vincente, ma cercare una-due carte particolari che sono quelle che ora mi permettono di scoprirne altre sulla strada che mi sembra di poter percorrere. Non guardare il problema nel suo insieme, ma guardare ai problemi più piccoli che compongono la strada. E se questa si sbarra, portando in un vicolo cieco, non cedere alla possibilità di cercare, vedere ed esplorare tutte le altre che potrebbero ancora esserci, prima di alzare bandiera bianca.
Così anche nella vita: un passo per volta, ad ogni giorno la sua pena. Perché non è detto che la soluzione che tanto stavo cercando non salti fuori, all’improvviso, in seguito ad un passo che sto facendo.
Ecco, se tutte queste cose le posso imparare e provare a fare giocando con il Solitario, le posso anche provare a fare nella vita. Una Vita che è una strada fatta di passi. Uno dopo l’altro.