11 settembre

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Ho scelto questa immagine perché in primo piano c’è un ponte. Il primo piano, simbolico, e lo sfondo. Sono ossimori. Ho sempre paura di cadere in una facile retorica ma non ho altra convinzione (chiamatemi illusa) che quel ponte che guarda impotente ciò che avviene alle sue spalle ci chiede non solo di ricordare, ma sopratutto di costruire. Tanti piccoli ponti. Quotidiani. Perché non debba più stare a guardare un simile spettacolo. Dipende da noi, ma dipende prima di tutto da me. Perché non ci siano più 11 settembre, e non solo quello di 11 anni fa, ma anche quelli quotidiani.

Lezioni di vita

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Un’immagine come se fosse quella di ognuno di tutti questi fantastici atleti che ci stanno regalando emozioni e soddsfazioni forse anche al di sopra di quelle date dai ‘normodotati’. E che eppure passano in silenzio, in un’articolo della Gazzetta oltre la metà pagina, dopo aver ampiamente parlato di calcioscommesse, rigori, polemiche… Lo so, è la solita retorica.
Ma credo che l’impresa di questi ragazzi sia doppia, prima di tutto sportivamente, perché sopperire a deficit richiede il doppio di sforzo fisico. E doppiamente anche a livello umano, accettare e fare trampolino di successo la propria ‘diversità’ (ma perchè poi, non siamo anche noi ai loro occhi ‘diversi’, semplicemente ognuno con la propria diversa-abilità e, come dice bene una vignetta che avevo mandato ad Emanuele e lui aveva pubblicato, ogni limite può diventare una possiABILITÀ).

Chiamale se vuoi, lezioni di vita, anche per chi ha volte pensa di aver tutto.

Le quattro moschettiere & co

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Le nostre quattro moschettiere. Forza, tenacia, tecnica, esperienza, cuore. Non c’è stata quasi mai partita, a parte quelle ultime stoccate finali che non ne volevano proprio sapere di entrare ma alla fine han dovuto pure loro cedere. Campionesse olimpiche. Noi, seduti e appollaiati sul divano a spingere, sostenere, incoraggiare le nostre ragazze. Loro sulla pedana a mettere a segno le 45 stoccate vincenti. Due scene però vorrei sottolineare. Il coach italiano che fa il cambio per permettere anche alla riserva di calcare la pedana e potersi mettere al collo quella benedetta medaglia. E poi il podio. Le nostre che cantano l’inno tenendosi per mano, muovendosi in sincro sulle note di Mameli. Ma ancora di più la foto di rito del podio, dove le atlete italiane si stringono per far posto alle russe e coreane e abbracciano affettuosamente le avversarie. Cose di altri tempi, se guardiamo in casa nostra. Sono un po’ “romantica” in queste cose lo so. Ma sarebbe stato bello gli italiani avessero preso la macchina per fare caroselli. Perchè non c’è solo il calcio. Ci sono ragazze e ragazzi che per 4 anni si sono fatti un mazzo tanto inseguendo un sogno. Raggiunto o no, sono l’orgoglio di quell’Italia che lavora in silenzio, si tira su le maniche e lontano dai riflettori sa stupire.

Sul tram – Non chiudere le porte

Il tram si ferma. Un signore fa per entrare; poi si rende conto che c’è una signora anziana che arranca sulla banchina per raggiungere il tram.
Allora si piazza in mezzo alla fotocellula per evitare che le porte si chiudano.
La signora arriva e lo ringrazia.
C’è un unico posto a sedere vuoto e allora il signore invita la signora a sedersi, il biglietto glielo timbrerà lui.
Glielo riporta e si scambiano un sorriso.

Da un fatto realmente accaduto due minuti fa.

Quando anche una caduta…

Sono arrivata casualmente sulla bacheca di Facebook di un mio ex-professore dell’università. Una scrollata e ho avuto sotto gli occhi un post che mi ha fatto fare un sorriso.
Giancarlo raccontava l’episodio che riporto qui sotto, con il suo consenso. Episodio semplice, ma chi segue questo blog – anche se probabilmente siete pochi – sa che mi piace raccontare proprio questi piccoli episodi che vedo intorno a me e che non mi fanno perdere la speranza nel pensare che ognuno di noi con pochi piccoli gesti quotidiani, può contribuire a rendere un po’ migliore questa società.
In questo caso in modo involontario sicuramente…ma è la dimostrazione che anche e sopratutto nelle cose negative possiamo trovare una spinta ad essere “migliori”.

Facciamole circolare queste cose, sono sicura che nel leggerle fanno cominciare le giornate in tutto altro modo.

Porta Palazzo, esterno giorno. Per evitare una piccola rissa, perdo l’equilibrio dalla bici e cado. Per aiutarmi a rialzarmi da terra, le persone che si stavano spintonando, smettono di litigare e mi risistemano anche la catena della bici che si era staccata. Finisce che tutti ci stringiamo la mano e siamo felici.
Morale: non tutto il male vien per nuocere ed un piccolo sacrificio personale può fare bene alle altre persone.

Sul tram – Simone

Come al solito sono qui, sul “mio tram”.
Sulla “panchina” davanti a me questa volta c’è Simone, un bimbo che avrà 4-5 anni. Vicino a lui c’è la sua mamma e la sorellina, che avrà pochi mesi.

Simone, accovacciato sul sedile sta armeggiando con un gioco, una rotellina piatta e nera. È un tipetto abbastanza vivace, che si fa sentire.
Io sto armeggiando con lo smartphone. Ad un certo punto Simone incomincia a piangere: la rotellina si è incastrata in una fessura e non ne vuole sapere di uscire.
Lì per lì la mamma lo invita a desistere…cosa vuoi che sia una rotellina.
E invece Simone è proprio disperato.
Alzo lo sguardo e mi avvicino, tiro fuori dalla tasca la cartache ho appena utilizzato per ricaricare il cellulare e provo a fare forza con quella per tirare fuori questa benedetta rotellina che però è proprio incastrata bene e non ne vuole sapere di uscire.

Anch la mamma di Simone prende due matite dalla borsa e prova ma niente, è proprio incastrato bene!

La ragazza seduta di fianco a Simone alza la testa dal suo iPhone e cerca nella borsetta un paio di pinze e con quelle tenta di disincastrare quel giochino di Simone.
“Salvare” la rotellina è diventato l’obiettivo del nugolo di persone che si trova in quella parte del tram.

Proviamo ad usare insieme la matita e le pinzette, cercando di far leva fino a che puf, finalmente la rotellina esce dalla fessura per la gioia di Simone.

C’è uno scambio di sguardi reciproco, siamo tutti contenti della felicità di Simone che adesso si è andato a sedere e “scampato il pericolo” si tiene stretta in mano quella rotellina.

Son storie, piccole storie quotidiane.

In mare

Mentre tutti guardavano il signor Schettino raccontare la “sua” verità sulla tragedia della Costa Concordia di gennaio, una barca affondava con a bordo più di una cinquantina di persone provenienti dall’Africa. Chiamale coincidenze, se vuoi.

Mentre leggevo la notizia mi sono tornati in mente un gruppo di ragazzi africani conosciuti a maggio. Un’amica ci aveva proposto una serata alternativa: andare con la sua compagnia teatrale a conoscere un gruppo di ragazzi africani confinati, è proprio il caso di dirlo, in un centro di accoglienza alle porte di Torino da dove non possono quasi muoversi.

Ho ripensato a questi ragazzi perché potevano esserci loro stanotte nel barcone affondato. Anzi, loro ci sono stati un giorno, solo che la fortuna ha voluto che per loro andasse meglio.

Le storie che ci hanno raccontato erano impressionanti. Una volta arrivati in Italia è stato tutto un pellegrinare di città in città fino ad arrivare a Torino dove hanno potuto finalmente, dopo 2 mesi, dare notizie di sé ai propri cari. Cose che ci farebbero impazzire, a noi abituati a comunicare ogni singolo spostamento.

Storie, racconti. La compagnia teatrale le ha messe in scena e anche quella volta ho cercato di essere presente. Un piccolo modo per raccontare le storie di tutti giorni, i pregiudizi con cui si devono scontrare quotidianamente. Un grande insegnamento. Una grande fortuna esserci, per ricordare che non bisogna dimenticare. 54 persone che hanno perso la vita inseguendo un sogno. Non voglio fare retorica o facile populismo, ma per chi muore inseguendo un pallone, cavalcando la moto vanno in scena prime pagine, sospensione dei campionati. Noi oggi tutti, io compresa, abbiamo fatto tutto come se nulla fosse successo.

Ecco, oggi passando vicino al centro dove sono ospitati ho visto questi ragazzi camminare per raggiungere quella che è la loro casa e la loro famiglia. E mentre passavo in macchina, guardandoli non potevo a meno di chiedermi quali immagini di quella traversata fossero ancora scolpiti nei loro occhi. Pensare che in fondo loro sono stati fortunati, perché qualcuno non ce la fa.

Certo, tutto quanto ci sta sotto è sicuramente più grande e di meno facile gestione di come è scrivere un post … ma certo che il desiderio è quello che si possano trovare delle politiche, dei modi che permettano che queste cose non succedano più, mai più.

Sul bus – Grazie “guido”

Pochi minuti fa. Ero da sola alla fermata che aspettavo il bus, e tenendo sott’occhio lo schermo con i passaggi, che mi segnava un’attesa ancora di qualche minuto, avevo la testa immersa nello schermo dello smartphone.

Sento suonare il clacson e alzo la testa: è proprio il mio bus, in anticipissimo!
Salgo e vado davanti a ringraziare l’autista per avermi avvisato del suo arrivo invece che sfrecciare via come fanno a volte altri autisti.

Sono piccoli gesti, piccole attenzioni, piccoli modi per far bene il proprio lavoro e non ridurlo ad un mero trasportare persone.
Ed era importante un ringraziamento pubblico, visto che spesso mi capita di lamentarmi degli autisti Gtt.
Grazie, “Guido”.

C’è anche tanto positivo intorno a noi…basta aprire gli occhi! 😉