Ero a casa della nonna e l’aiutavo a sistemare le medicine.
Ha tre grossi contenitori, uno per la mattina, uno per il pranzo e uno per la cena. E dentro ad ognuno le varie scatole delle medicine che deve prendere.
E siccome capita che le metta in disordine, bisogna darci un occhio, ogni tanto. Allora bisogna aprire le scatole e controllare che dentro ci sia effettivamente la cartina di quella medicina.
Così avevo notato diverse cartine con poche pastiglie ancora da usare e molti “buchi”. E’ stato quasi automatico pensare di “bonificare” togliendo tutte la parti già usate per lasciare soltanto la parte ancora da usare. Utile e funzionale all’uso, no?
L’ho fatto per la prima scatola, poi per la seconda. Alla terza però mi sono fermata. “Ma se in realtà tenere la cartina intera serve anche perché sia più semplice prenderla da dentro queste scatole così piccole e strette? E che se io tolgo tutto il resto rimangono dei francobolli che finiscono dentro la scatola e la nonna deve non poco armeggiare per riuscire a prendersi le medicine?“.
Nella mia testa avevo trovata giusta la precisione certosina di lasciare tutto alla nonna pronto in quello che mi sembrava il giusto ordine delle cose. Eppure … eppure guardando le cose da una prospettiva un po’ diversa da quella che mette tutto perfettamente e logicamente a posto, mi son resa conto che quell’azione che a me sembrava “necessaria” e giusta (che senso ha tenere questa cartina mezza usata), vista con l’esperienza di un altro sguardo mi faceva vedere delle “conseguenze” che non avevo minimamente tenuto in considerazione.
Come tante altre volte, mi è sembrata una metafora valida anche per la vita e per i rapporti umani di tutti i giorni. Non è così? Che noi abbiamo deciso per l’altro cosa gli va bene, senza ricordare che quello che è valido per me, non è assolutamente detto che sia la cosa più utile e funzionale, la perfezione anche per un altro.