Grazie, Benedetto


Ieri mentre il Papa (a quell’ora non era ancora Emerito) sorvolava Roma il pensiero era tutto per l’uomo Ratzinger.

Qualche minuto prima aveva salutato tutti, il suo segretario si era commosso. E poi l’elicottero si era alzato.
Io guardavo il tutto da un buchetto dello schermo emozionata come se stessi accompagnando alla partenza un amico intimo.

Guardando di sfuggita quell’elicottero bianco sorvolare Roma cercavo di immedesimarmi e mi chiedevo quante e quali instantanee gli passassero negli occhi, per la testa, in cuore. Poi l’ho visto a Castel Gandolfo, in quel luogo per me anche così familiare e che con i suoi grandi alberi al tramonto lascia sempre negli occhi molta suggestione.

Ed era ancora si, stanco, ma sereno, tranquillo. L’ultima cosa che ha detto è stata: buonanotte, la cosa più semplice che poteva uscire dalla sua bocca. Un’ultima, ulteriore lezione di ‘normalità’.

Preso dall’emozione, Benedetto ha sbagliato la formula della benedizione. Un Papa umano. Si è girato e in quel momento la brezza leggera dei Castelli faceva ondeggiare in un’immagine suggestiva il drappo posto sul balcone da cui Benedetto si era appena congedato per l’ultima volta.

Solo la storia saprà dirci la grandezza di questo Papa, che ho faticato ad amare all’inizio e che ho incominciato ad apprezzare tardi, nel momento in cui anche nella mia vita ho incominciato a fermarmi, a leggere tra e dentro le cose.

E che adesso già un po’ mi manca.
Grazie, Benedetto.

L’ultima eredità di BXVI

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Il Papa stamattina ha salutato i cardinali per l’ultima volta prima di ritirarsi a Castelgandolfo, diventando “Papa emerito” nell’attesa che il conclave elegga il prossimo. Mi ha colpito in modo particolare un passaggio del suo discorso:

“Il collegio dei cardinali sia come un’orchestra dove le diversità concorrano alla superiore armonia”

Mentre lo ascoltavo mi sembrava la consegna fatta ai figli di un padre che parte: stringersi intorno a “quel vuoto” e restare più uniti, ritrovare la dimensione dell’insieme, della famiglia. Ecco, in fondo mi sembrava di scorgere che il Papa, nel suo atto più grande di umiltà e servizio ci sproni e ci lasci una strada, un’eredità, non solo utile per la Chiesa in questo momento, ma valido anche e soprattutto nel nostro quotidiano. Si rema tutti insieme.

Rimboccarsi le maniche

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Torino, Centro Immigrazione, 26 febbraio 2013. Paradossi.

Io confusa pensando alla situazione politica italiana appena delineata dal voto, davanti a me decine di
immigrati in coda per avere un permesso di soggiorno. Oggi. Mi ha fatto impressione.

E mi ha fatto riflettere.
Milioni di italiani che incominciano ‘metaforicamente’ a far le valigie e immigrati che sfidano il freddo per un pezzo di carta che gli permetta di starci, in Italia.
Le due facce di una stessa medaglia delle contraddizioni italiane.

O forse, andando oltre lo smarrimento, la desolazione il segno che nonostante tutto, anche dopo queste elezioni che ci consegnano un’Italia ingovernabile, possiamo e dobbiamo crederci. A maggior ragione se altri ci credono al posto nostro.

Forse ci viene data ancora una volta una chanche: è ora di rimboccarsi le maniche e scappare forse non serve. È qui che possiamo incominciare ad essere cittadini migliori, è qui che possiamo dare il nostro contributo per un’Italia migliore.

Sarà che nella vita l’ho provato, ma è solo facendo il giro completo che le cose poi trovano un senso.
Forza, Italia!