Oltre il velo, nel cuore del Pakistan

Partivo per il Pakistan su un boeing della Pakistan Air Lines ingoiando le lacrime che non riuscivo a trattenere, dopo aver salutato al telefono mia madre e mio fratello. […] Di quel volo diretto che mi portava a Karachi ricordo le sette ore trascorse quasi ininterrottamente a guardare fuori dal finestrino la notte stellata, in un colloquio a tu per tu con Dio. Non ricordo di essermi chiesta cosa avrei trovato, né di aver provato a immaginare la vita che mi aspettava. Mi sentivo portata più dalle circostanze che da chissà quali grandi sogni: avevo fatto una scelta per la vita, e quel viaggio era una delle tante conseguenze di un impegno preso fino in fondo. […] Dovevo riposare per recuperare la notte di viaggio e mi sono ritrovata sola in una stanza in cui, oltre a me, c’erano soltanto due brandine di ferro e un sottilissimo materasso di crine. I muri erano dipinti di un verde intenso che dava quasi al blu. Fuori, il gracchiare sordo dei corvi faceva da sfondo a un canto lento e inesorabile: la preghiera che saliva dalla moschea al di là della strada. Non era facile addormentarsi, il cuore era stretto in una morsa di nostalgia. [Fonte]

Alcuni stralci, alcune anticipazioni di un libro che sto aspettando in un misto tra curiosità e impazienza. E con un pacchetto di fazzoletti pronti perché se queste sono le premesse, son sicura mi serviranno.

Ho la fortuna di conoscere l’autrice (anche se non so se lei possa dire altrettanto di me :-D) che, in modo inconsapevole, finisce a volte per essere per me come uno specchio, i cui riflessi li avete incontrati su queste pagine.

Io so che se scrivessi qui sopra una qualsiasi piccola e impercettibile parola  di ‘lode’ troverebbe il modo di sgridarmi di questo. Però questo me lo permetterà: sulla fiducia che mi viene da quanto già sentito da lei di quell’esperienza che prova a raccontare in questo libro, appena esce, e cioè tra pochissimo, se avete occasione, compratelo e leggetelo. Entrare in quel mondo sarà un toccasana per la propria anima!

Già solo gli stralci che Cittanuova sta pubblicando mi fanno cogliere alcuni aspetti, me ne confermano altri di quelle piccole pennellate che ogni tanto ci da della sua esperienza in Pakistan … Da una parte sarà strano “leggere” e scoprirne di più con gli occhi di qualcuno che in un modo o nell’altro conosci, perché si rischia di farlo in modo poco obiettivo, con il rischio di aspettarsi qualcosa, togliendo al cuore quella sana possibilità di stupirsi. Ma vi racconterò come sarà andata.

Oltre il velo, nel cuore del Pakistan. Di Daniela Bignone

Ossimori dell’epoca moderna

All’epoca della  discussissima riforma Fornero e a tutte le discussioni annesse sull’ambito lavorativo, guardando a chi tanto se ne opponeva, mi erano nate due riflessioni più profonde riguardo alla (non) coerenza, guardate in un’ottica più ampia nell’insieme dell’offerta-richiesta politica di quella parte politica che tanto si opponeva. Riflessioni che ora, ad una settimana dalle elezioni, mi interrogano nuovamente.

Si parlava di ‘posto fisso’. Un ‘per sempre’ che vogliamo per noi ( che poi boh, è tutto da capire se come ci vogliono far credere, che un posto a tempo indeterminato sia proprio un vantaggio) ma che vogliamo poter non dare agli altri (vabbè, ma che serve sposarsi, prendersi delle responsabilità, nella buona e cattive sorte? Proviamoci, al massimo sotto al prossimo giro).

Si parlava di articolo 18. Un ‘mi hai stancato’ che vogliamo poter noi esercitare (si pensi al divorzio, che più è breve e meglio è) ma che non vogliamo possano esercitare su noi gli altri (vedi le infinite discussioni a ‘difesa’ sull’articolo 18).

Volutamente provocatori, lo sottolineo (perché sono argomenti che da qualsiasi parte li si guardi non si possono tagliare con il coltello), ma che sono esempi della nostra schizzofrenia moderna. Da una parte l’estrema tendenza ad AVERE (diritti) e l’altrettanta forte riluttanza che abbiamo a DARE (dovere).

Dovremmo rifletterci sù tutti, io per prima, perché se ci fosse una gara di incoerenza penso che la  potrei tranquillamente vincere.

Le lezioni di Benedetto XVI

Papa Benedetto XVI lascia dopo 8 anni il suo Pontificato. Una notizia che per certi versi ha dell’incredibile, visto che è da 600 anni che non avveniva un cambio alla guida della Chiesa con un Papa in vita. E’ strano. Mancano i serpentoni di gente davanti a San Pietro, mancano tutti i “riti” della morte di un Papa.

Sono stati sentimenti contrastanti quelli che mi hanno lasciato in cuore questo rimbalzare di notizie.

Fiumi di parole, fiumi di fotografie, video e quant altro oggi, che già presagisce alla prima elezione di un Papa nei tempi social. Stasera a cena si scherzava dicendo che l’annuncio magari non verrà più fatto da un microfono dal famoso balcone, ma con un tweet. No, non sarà così.

Scelta giusta, scelta sbagliata. Tutti si interrogano, tutti provano a dire la loro, ma solo lui, la parte in causa sa qual è la cosa giusta in questo momento. 6 mesi per pensarci sono un’eternità. Mi piace un commento letto su questo articolo (che vi consiglio di leggere!): “spicca il gesto del Papa che mi pare sia un bel segno di contraddizione. che si accompagna armonicamente con la testimonianza di GPII che invece scelse in un altro momento storico di testimoniare la forza della debolezza“. Come a dire: ad ognuno il suo tempo, il suo ruolo, il suo modo. E’ questo il bello del Servizio. Uno lo fa in un modo, l’altro in un altro. Rimane servizio.

Di fronte ad una scelta umana ‘drammatica’ come quella che oggi ha preso il Papa, un essere umano anche lui, il silenzio sarebbe l’unico commento giusto. E non centra essere cattolici, agnostici o anti clericali: il rispetto non ha religione.

Ma ci sono alcuni aspetti, secondari e non, che ho colto in questa vicenda e che mi hanno tanto colpita.

Il primo è la semplicità, la delicatezza con cui Benedetto ha dato l’annuncio. Poteva convocare una mega conferenza stampa, far montare un alone di mistero intorno a quello che voleva comunicare e poi dare il colpo di teatro. Non è mai stato amante degli show e del centro dell’attenzione. E anche questa volta non si è smentito. L’ha fatto parlando al fondo di un incontro già fissato e di per sé ‘insignificante’. Mi ricordava molto quel Bambino nato in una mangiatoia. Quasi a ricordarci che l’importanza non sta nella forma.

Un secondo aspetto su cui sento di aver tanto da imparare è il come il Papa in questi mesi abbia saputo custodire questa sua scelta, immagino in un “a tu per tu” continuo con Dio fino ad arrivare ad oggi. “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che …” un esempio che mi ha ricordato una cosa dettami qualche tempo fa, con parole diverse ma con uguale sostanza da una persona riguardo ad alcune mie fatiche di riuscire a “scegliere” cosa fare. Segno che forse c’è ancora tanto da lavorare.

In fondo vorrei lasciare la più grande lezione che ha dato: la libertà di accettare il limite umano. L’umiltà.

ps: quella che vedete in alto è la foto che abbiamo fatto (eggià, in quel gruppone ci sono anche io) ad aprile del 2011 con Papa Benedetto. E’ una storia incredibile. Quando ero ai Castelli, un giorno avevamo in programma una gita a Roma per andare a fare le turiste. Quella mattina il Papa era in udienza e gli veniva presentato YouCat, il catechismo dei giovani. Per farla breve, ci siamo ritrovati ai lati del palco nel gruppo di giovani a rappresentanza. Poi è arrivato un ometto in doppio petto che ci ha detto se eravamo pronti per andare a fare la foto con il Papa. Noi eravamo uscite con l’idea di andare a visitare il Colosseo, quel giorno. Ho un bel ricordo di quel momento!

#3cosebelle

2192oudAttraverso Twitter sono arrivata a questo post, che mi è piaciuto molto. Uno stralcio:

Ho iniziato a cercare 3 piccole cose belle nelle mie giornate perché ci sono molte cose della mia vita che non mi piacciono.
Accantonato il progetto di andare a vivere in Australia, mi ritrovo qui, in uno Stato che non mi piace, a fare ogni giorno la stessa strada, trascorrere spesso giorni monotoni, ogni tanto sentirmi sola.
A un certo punto mi sono resa conto che rischiavo di deprimermi, quindi ho cercato un appiglio, qualcosa che mi facesse sentire che anche la giornata di oggi aveva avuto qualche attimo positivo, che aveva avuto un senso.
Perché se io morissi oggi, vorrei pensare che le 24 ore appena trascorse non sono state del tutto inutili.
Da lì è nato l’hashtag #3cosebelle, che mai avrei pensato potesse darmi così tanti attimi di serenità.
Per prima cosa, ho scoperto che mi piace, ripensare alla giornata appena trascorsa: durante il giorno mi ritrovo a pensare «Ecco, questa potrebbe essere una delle 3», e così involontariamente mi godo di più le piccole cose.

Forse partiamo da punti di prospettiva diversa (chi mi conosce sa che cerco di guardare le cose quando riesco da un lato positivo ), ma l’idea che propone mi è piaciuta molto.

Soprattutto perché prendersi questo “impegno” presuppone guardare le cose nelle loro intere sfumature, cercare di non fare le cose meccanicamente, ma soppesarle. “Sarà una delle 3 cose belle di questa giornata”?

Ma soprattutto, ci aiuta a tornare a guardare le cose con gli occhi dei bambini, ad essere semplici, a ricercare le sfumature delle piccole cose, dei piccoli gesti.

Non posso dire che lo farò ogni giorno, però è un impegno che mi prendo volentieri. E se volete contribuire a far circolare “felicità”, basta twittare qualcosa con l’hashtag #3cosebelle. O altrimenti ogni tanto fateci un giro, vi ruberà sicuramente un sorriso vedere quanto di bello (e a modo suo anche originale) ognuno riesce – a volte con fatica – a cogliere nel proprio tran tran quotidiano! Per ricordarci che non tutto è da “buttare”!

ps: ricopio qui le mie #3bellecose di oggi: il cielo blu turchese che saluta #torino, un mail dal #messico, il sorriso di una bimba al suo papà sul tram

Dove comincia la Pace

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Da ognuno di noi, ogni giorno, ogni momento, in ogni gesto.

Oltre i muri. Aprire un breccia in quelli che ogni giorno costruiamo, anche senza accorgercene.

Capire, comprendere, ascoltare. Scusare, aspettare.

E come al solito lo dico prima di tutto a me stessa.

(Amore che) Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Alcuni candidati

Un patto “eletti-elettori”

Alcuni candidatiIeri ho partecipato a Torino ad un incontro promosso dal Movimento Politico per l’Unità. Erano presenti diversi candidati alle prossime elezioni politiche nel territorio in diverse realtà politiche.

Diversamente da quanto si potrebbe pensare, non era un momento pensato per “propaganda politica”, ma per proporre loro, alla luce della legge elettorale che non ci permette una scelta,  un patto “eletto-elettore“.

Il sistema democratico chiama i rappresentanti eletti a render conto del loro operato, soprattutto al momento del voto. Eppure oggi un numero crescente di elettori ritiene insufficiente che la propria partecipazione alla vita della polis si esaurisca con un tratto di matita sulla scheda elettorale. L’esigenza che i cittadini possano concorrere al lavoro politico dei rappresentanti durante lo svolgimento dell’intero mandato, in modi più ricchi di contenuto e continuativi, è una delle domande cruciali cui la democrazia moderna non ha ancora risposto. L’esperienza del «patto politico-partecipativo» tra eletti ed elettori, originale sperimentazione nata a metà degli anni ottanta nell’alveo della «cultura dell’unità», può essere considerata come l’apertura di un diverso orizzonte partecipativo. Di fronte al rischio di abbandonare ad un’élite la gestione dei processi di governo, si intravvede un’esperienza di democrazia riconsegnata alla cittadinanza, di un protagonismo politico della società civile costruito in maniera corretta, nel rispetto dei diversi orientamenti politici e delle differenti funzioni, ma in un quadro di unità del corpo sociale che si compone attraverso relazioni libere e orientate al bene comune.

Per ogni candidato l’impegno era quindi raccontare il come ‘rispondeva’ all’invito di aderire a questo patto e di impegnarsi nel provare a vivere il proprio possibile mandato parlamentare alla luce della fraternità. Il tutto senza quei siparietti a cui siamo abituati nei talk-show televisivi.

Utopie buoniste “raccatta-voti” da campagna elettorale? Può essere. Ma io ad esempio sono uscita con la mia idea di voto (che purtroppo per qualche mese potrò dare soltanto alla Camera) rafforzata, ma anche arricchita dalle altre sfumature che si intravedevano nelle altre forze. E con la sicurezza di potermi in qualche modo sentirmi rappresentata, nei modi e negli scopi, anche da chi si presenta sotto il cappello di un partito che non voterò. E, forte di questo patto, di poter in qualche modo poter “chiedere” conto o incoraggiare e suggerire anche a loro, in un impegno che va al di là dell’appartenenza politica.

L’obiettivo di fondo che ha animato questo appuntamento è quello che in parte sta a cuore anche a me. Ritrovare l’importanza dell’impegno politico, che non è sempre impegno partitico, ma prima di tutto il nostro vivere da cittadini. E ribadirci che la politica attuale non è tutta da buttare. Sopratutto, però, renderci coscienti dell’importanza per noi che rimaniamo qui di sostenere, pungolare, “esigere da” chi mandiamo a rappresentarci. In una parola, partecipare, non delegando in bianco, ma con consapevolezza. Ed è stato bello mettere per un attimo da parte la propria appartenenza politica per ragionare con un respiro più grande.

Qualcuno a margine proponeva di rivedersi tra uno, due anni, per fare insieme a loro un punto della situazione, per non perdere il filo incominciato ieri.

Se ci fosse stato il tempo avevo due pensieri in testa da dire ai candidati presenti, al di là della bandiera che rappresentavano e di quella che sceglierò il 24 febbraio.

  1. Mi piace l’idea di rivedersi tra un po’ di tempo per fare il punto della situazione, anche su come va il lavoro di “fraternità” in Parlamento. Ma penso che un lavoro molto utile potrebbe essere quello di far circolare il più frequentemente possibilie tutta quella buona politica che rimane sempre sommersa dalle urla dei talk-show e dei giornali. E ci penseremo noi ad amplificarla!
  2. una delle battute più ricorrenti che si sentono è che in campagna elettorale tutti promettono e poi una volta arrivati a Roma tutto si dissolve. In parte è vero. Ma penso che noi cittadini dobbiamo fare lo sforzo di capire – e penso ognuno lo possa sperimentare sulla sua pelle anche nelle piccole cose – che le cose non siano così semplici, là a Roma. Parlo avendo fatto, e facendo ancora adesso un’esperienza del genere. Che trovarsi dall’altra parte della barricata da modo di vedere le stesse situazioni da una prospettiva inevitabilmente diversa e questo può portare anche a contraddirsi. Ai futuri parlamentari chiedo questo: che ovviamente ce la mettano tutta nel cercare di portare avanti gli impegni presi, ma anche non scoraggiarsi nel caso non ci si riesca. Sarebbe bello che riescano ad avere tempo per spiegarci il perché e per come di una determinata scelta. Perché noi da qui, non avendo in mano la visione generale e tutti gli elementi, siamo portati per natura a giudicare una questione per come la vediamo, nella sua apparenza. Questa è per me la vera trasparenza: renderci partecipi delle scelte fatte allargandoci le visioni per permetterci di capire il perché e il percome. Scelte che magari continueremo a non condividere, ma almeno ci saranno chiare. In cambio, io personalmente mi prendo l’impegno di provare a dare a loro la Fiducia.

E se qualcuno volesse aggiungere qualcosa per ampliare il contributo in questo “patto eletti-elettori”… i commenti sono sempre aperti!

[photo by FedericoOrta.com]

La vera forza è rialzarsi

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Alex Schwazer è salito, suo malgrado, agli onori della cronaca la scorsa estate non per la medaglia che avrebbe potuto appendersi al collo e che difendeva, ma per una brutta storia di doping.

Alex ha sbagliato. Oppresso dalle aspettative, dalla paura di non farcela e di non poterle onorare. Chissà, il mondo dello sport, ad un certo livello nasconde sicuramente dinamiche e insidie quanto mai complesse.
Forse si può arrivare al punto di dover vincere, a tutti i costi.
E così si può rischiare di prendere delle scorciatoie che però alla fine (si veda anche il recentissimo caso di Armstrong) possono aiutare fino a un certo punto.

La sua intervista a luglio, o agosto che fosse, mi aveva commosso. Sarò sensibile, sarò sempre illusa, ma vedere quel ragazzotto così fragile confessare piangendo, con la testa bassa, mi aveva fatto compassione.

Ricordo che la cosa che mi aveva colpito era quel dire che in fondo lui quel controllo con cui l’avevano pizzicato l’avrebbe potuto saltare, era un suo diritto.
Ma quella menzogna che si portava dentro era ormai diventata troppo pesante.

Nessuno può negare lo sbaglio, ma in quella immagine c’era un uomo che consapevole del proprio errore si metteva alla gogna, con l’umiltà. A differenza di chi per anni ha fatto la voce grossa, si è difeso sprergiurando e facendo terra bruciata intorno a chi provava ad insinuare il più piccolo dubbio.

Quella conferenza stampa e l’intervista che Alex ha rilasciato ieri su La7 andrebbero fatte vedere nelle scuole, nei gruppi sportivi. Andrebbero fatte vedere da ogni genitore ai propri figli.

La storia di Alex ci insegna che non siamo perfetti, che possiamo sbagliare.
Ma sopratutto che la noatra forza non sta nel non sbagliare mai, ma nel saper riconoscere il proprio sbaglio e darsi una seconda possibilità, quella di Ricominciare.

Forza Alex, adesso è l’ora di rialzarsi! La medaglia più bella la potrai conquistare adesso!