Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle e l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.
Pavel Florenskij
Essere sensibile
Essere una persona sensibile vuol dire percepire un tono di voce distante durante una telefonata, riconoscere l’ansia, la paura e la tristezza nella faccia degli altri. Essere sensibile vuol dire fare caso a tutto, e con “tutto” intendo veramente qualsiasi cosa: un fiore sconfitto dal vento, un cane solo, un colore diverso del cielo, un sorriso più sentito, una parola colorata in mezzo a tante parole anonime. Essere sensibili vuol dire vivere dieci, cento, mille vite ogni giorno. Quando sei sensibile non puoi fregartene, farti gli affari tuoi, lasciar perdere. Chi è sensibile, se sa di aver ferito qualcuno si tortura per ore ed ore pensando alla sensazione che gli ha fatto provare. Chi è sensibile vive una fatica immensa.
Ma consideralo sempre un dono, mai una disgrazia.
(Susanna Casciani)
Lo conosco fin troppo bene.
Una scatola di medicine
Ero a casa della nonna e l’aiutavo a sistemare le medicine.
Ha tre grossi contenitori, uno per la mattina, uno per il pranzo e uno per la cena. E dentro ad ognuno le varie scatole delle medicine che deve prendere.
E siccome capita che le metta in disordine, bisogna darci un occhio, ogni tanto. Allora bisogna aprire le scatole e controllare che dentro ci sia effettivamente la cartina di quella medicina.
Così avevo notato diverse cartine con poche pastiglie ancora da usare e molti “buchi”. E’ stato quasi automatico pensare di “bonificare” togliendo tutte la parti già usate per lasciare soltanto la parte ancora da usare. Utile e funzionale all’uso, no?
L’ho fatto per la prima scatola, poi per la seconda. Alla terza però mi sono fermata. “Ma se in realtà tenere la cartina intera serve anche perché sia più semplice prenderla da dentro queste scatole così piccole e strette? E che se io tolgo tutto il resto rimangono dei francobolli che finiscono dentro la scatola e la nonna deve non poco armeggiare per riuscire a prendersi le medicine?“.
Nella mia testa avevo trovata giusta la precisione certosina di lasciare tutto alla nonna pronto in quello che mi sembrava il giusto ordine delle cose. Eppure … eppure guardando le cose da una prospettiva un po’ diversa da quella che mette tutto perfettamente e logicamente a posto, mi son resa conto che quell’azione che a me sembrava “necessaria” e giusta (che senso ha tenere questa cartina mezza usata), vista con l’esperienza di un altro sguardo mi faceva vedere delle “conseguenze” che non avevo minimamente tenuto in considerazione.
Come tante altre volte, mi è sembrata una metafora valida anche per la vita e per i rapporti umani di tutti i giorni. Non è così? Che noi abbiamo deciso per l’altro cosa gli va bene, senza ricordare che quello che è valido per me, non è assolutamente detto che sia la cosa più utile e funzionale, la perfezione anche per un altro.
Vuota e piena
Oggi, tornando dalla passeggiata, passavo a lato della strada, dove in mezzo c’era il mercato, che avevo appena attraversato ed esplorato. Sicura di aver visto tutto.
Ma da quella nuova angolazione ogni tanto l’occhio cadeva di nuovo sulle bancarelle, viste da una prospettiva però questa volta diversa. Da dietro.
E l’occhio finiva per indugiare su cose che passandoci in mezzo, non avevo visto o non avevo potuto notare, proprio perché nascoste.
Quante volte nella vita è lo stesso? Guardi e riguardi una cosa, la attraversi. Pensi di averla capita e attraversata tutta.
E invece, se cambi prospettiva, se la guardi da dietro, ti rendi conto di particolari che non avevi notato. Di sfumature che non avevi colto. Di storie che possono essere diverse da come le avevi immaginate e ‘capite’.
Oggi al mercato ho capito che non mi devo accontentare di una prospettiva. Quella che fa vedere le cose belle, le sfumature più accese, è quella che vede ‘dietro’. È quella che guarda ‘sotto’, ‘dentro’. E’ quella che passa per il dolore, il non capire, attraverso le proprie paure.
Che ti mettono lì. Vuota, al fondo.
Piena, accanto.
#PrayLiveActForPeace
Chi non si sente impotente di fronte alla guerra? Chi per un attimo non ha sentito i brividi alla schiena davanti all’idea di un aereo incidentalmente finito sotto il fuoco di due contendenti?
Quell’aereo ci ricorda che la guerra non è affare di qualcuno. È affare di tutti, perché la sua coda non sappiamo cosa e chi raggiungerà.
In questi giorni sui social network si usano tanti hashtag per commentare le notizie che arrivano dal Medio Oriente.
#PrayForPeace, lanciato a suo tempo da Papa Francesco, e #PrayForGaza.
Chissà che fine ha fatto quell’albero piantato nei Giardini Vaticani nell’incontro di pace voluto da Francesco. Sarà appassito sotto i colpi di mortaio? Dietro le incursioni di terra, le ripicche, le scaramucce e i gridi di battaglia?
Chissà. Ma forse si può ancora salvare. Si può innafiare con un passo, senza aspettare che sia l’altro a farlo. Perché vinca chi per primo incomincia a togliere le pietre del muro di odio.
Certo, sono conflitti complessi, che non si possono risolvere con un post. Ma sono conflitti che fanno solo da specchio ai nostri, ai miei. Quelli ‘piccoli’, di tutti i giorni. Ma on meno insignificanti.
Ecco. Io vorrei lanciare un hashtag nuovo: #PrayLiveActForPeace.
Prega, vivi e agisci per la Pace.
Perché la Pace è una scelta, difficile, audace, eroica, di ogni giorno. Mai scontata. E ad ognuno, me compresa, viene chiesto di farla.
Siamo noi che possiamo scegliere.
E io spero di saperlo fare. Di sapermela conquistare.
Tutte le volte che … una Commedia Divina
Tutte le volte che sentirai la disperazione dell’anima
e continuerai a sorridere
e a parlare agli altri di speranza;
tutte le volte che sentirai la morte dell’anima
e continuerai a sorridere
e a parlare agli altri di amore
e ad amare concretamente;
tutte le volte che avrai l’anima piombata nel buio più assoluto
e continuerai a sorridere
e a parlare agli altri di luce;
ti sembrerà di fare una commedia,
di non essere nella verità.
Ricordati:
quella è la Commedia Divina,
è la logica del dono autentico!
E’ essere con Gesù sulla Croce!
(Chiara Lubich)
Come quell’albero
Oggi mentre studiavo, sbobinando quintali di ‘è chiaro questo concetto?’, guardavo fuori da quella finestra che dà sui tetti del centro città. Guardavo e osservavo il cielo, in questi giorni torinesi così volubile: uno squarcio di sole, poi di nuovo le nuvole, pioggia scrosciante e improvvisa, folate di vento che piegano le foglie del grande albero e che fanno muovere le antenne sulle case.
È come se il tempo in questi giorni seguisse il ritmo incessante delle mie paure, dei miei pensieri, di quel giornaliero stillicidio emotivo, in un certo senso, che mi accompagnerà, volente o nolente, fino a settembre. Con quella sottile ma quanto mai presente tentazione di leggere dietro parole, gesti o atteggiamenti una cosa o l’altra, ben sapendo che il Regista di questa vita sa meglio di noi come condurre le cose. Anche quando ci fanno male e soffrire, potenzialmente.
Mi sento come quell’albero, che gode di quella punta di Sole che esce come chi nel deserto accede ad un sorso d’acqua; e che vuole provare ad accettare l’impetuosità del vento che gli scompiglia le foglie, a volte senza pietà.
Sapendo che anche questo soffrire ha un senso che va al di là del mio capire.
(Photo credit di un mio contatto di Facebook)
Ben tornata, chitarra!
Questa è la mia chitarra. Quella storica, che mi ha accompagnato per tanti anni nella mia adolescenza.
Congressi, vacanze, gite. Dove c’ero io, c’era anche lei. Dove c’era lei, c’ero anche io. Una sorta di “coperta di Linus”, tanto che mi ero meritata, ad un certo punto, il soprannome di “Juboxe”. Era come fosse un prolungamento delle mie braccia.
Ricordo quella volta che ho provato a portarmela dietro anche in p.zza San Pietro, in mezzo a migliaia di persone in un caldo pomeriggio di inizio giugno, appena diventata maggiorenne. E la disperazione di avere avuto l’idea di portarmela dietro, in mezzo a quella calca umana. E, ovviamente, fortuna volle che la polizia, nei suoi controlli random per gli accessi in piazza, chiese a me di poterla aprire per controllarne il contenuto, vuoi mai che li dentro ci portassi un mitra! 😀
Ma poi eccome se tornò utile. Non con una strimpellata, ma come “cuscino” su cui distendersi, 30 secondi, appena conquistato il mio posticino in mezzo a quel mondo variopinto.
E poi … e poi per un po’ è stata “abbandonata”, lassù in mansarda.
In questi giorni, complice l’aver restituito la più moderna acustica che per un po’ ho custodito nel frattempo di restituirla alla proprietaria, sono andata a riprendermela, non senza un filo di emozione, da lassù. Era un po’ da risistemare, una corda rotta, ma un po’ di manutenzione e l’ho rimessa in sesto. Rimessa in sesto per altre battaglie e altre avventure, chissà.
Ho postato questa foto su Facebook e sotto l’immagine sono incominciati ad arrivare copiosi, i commenti di tanti amici, vicini e lontani. Coloro che mi hanno visto utilizzarla negli anni, che ne hanno sentito uscire le note, gli accordi, uno dopo l’altro. Coloro che l’hanno “firmata” e che hanno lasciato così un pezzetto di loro sul legno chiaro della cassa della chitarra. Cosa per cui un giorno mi presi una sonora sgridata da una musicista. Perché ovvio, tutte quelle scritte e le manine “rovinano” la cassa e la sua acustica. E pazienza, ormai il danno era fatto. Ed ero pronta a sacrificare un po’ di perfezione sonora per portami sempre in giro i miei amici e i miei ricordi.
Mi hanno fatto molto piacere tutti gli attestati di “stima” e di affetto per questa mia chitarra anche se in fondo, mi dicevo, è solo un oggetto.
Si è vero, è solo un oggetto. Ma è bello scoprire come questo oggetto, usato in mille e mille occasioni, sia stato in fondo catalizzatore di tanti rapporti.
Ed è bello riscoprire che, come tutti gli oggetti che ci sono dati in dono, tanto dipende da come e per cosa li usiamo.
Un accordo. Una nota. Tanti amici e amiche fatti cantare.
E’ ora di riprendere la tua carriera, cara chitarra 😉
Ramadan karìm!
Per i fedeli islamici il Ramadan costituisce un periodo eccezionale dell’anno, un’insieme di pratiche religiose, che di per sé sono testimonianza della fede, che hanno un forte impatto sulla vita sociale e civica. La mattina, presto, prima del sorgere del sole, una sirena sveglia la città. Si comincia a cucinare per quella che sarà ben più di una colazione. E così alle 4 del mattino l’aria si riempi di aromi forti; si tratta di pasti sostanziosi, capaci di forza per affrontare un’intera giornata. Poi una seconda sirena: comincia il digiuno. Durante la giornata nessuno mangia o beve e anche chi non fosse tenuto a tale obbligo per religione o perché dispensato per l’età o la condizione di salute, evita di farlo. I luoghi di ristoro sono chiusi. E’ un rispetto dovuto e condiviso.C’è serietà in tutto questo, forse per qualcuno è solo esteriorità, ma rivela comunque il valore della fede. Poi, più si avvicina il calar del sole, più la vita si fa frenetica e si respira agitazione. Non si resiste più, si corre per arrivare a casa. La velocità dei taxi e autobus diventa spericolata, non si rispettano i semafori, non esistono regole. E forse l’ora più pericolosa per chi si trova in strada.
Un’ulteriore sirena, e come d’incanto si ferma. Si chiudono i negozi, le strade sono deserte. Un dattero, quell’agognato sorso d’acqua, i primi boccani e, “aperto” il digiuno, lentamente la vita riprende, le strade si rianimano, ma in modo pacato. Sono trenta giorni interminabili.
(“Oltre il velo nel cuore del Pakistan“- Daniela Bignone )
Buon Ramadam a tutti gli amici musulmani.