I migliori amici.
Quelli con cui puoi prendere al bar un caffè e smezzare una brioches. Senza dire una parola, in un dialogo fatto di silenzio e sguardi che raccontano più di quanto farebbero le parole, in un rispetto immenso per le guerre interiori che ognuno sta facendo e di cui l’altro sa tutto, senza bisogno che tu glielo dica o glielo debba raccontare.
E sapere che lì c’è tutto.
E che anche quella può essere la migliore conversazione.
‘Visi comunicanti’.
Quando valgo
Quando tu vorresti essere ‘perfetta’, ‘imbattibile’. Sopratutto di fronte alle persone a cui ci tieni. Come se il loro giudizio su di te sia relativo alle tue ‘doti’ o non doti. Al tuo riuscire o non riuscire. Se il metro con cui ti vogliono bene sia se il programma di posta che fa le bizze sei riuscita a sistemarlo oppure no.
Ed invece devi fare i conti con le tue mancanze, i tuoi sbagli. Il non essere perfetta e avere sempre una soluzione per tutto. Il non riuscire, a volte.
È successo così. Quella paura di sbagliare, di deludere, come se non ci fosse un domani.
Tornando a casa osservavo le nuvole. Era tanto che non mi fermavo ad osservarle. E mi sono accorta che è tanto che non mi fermo ad osservare.
Guardando quel cielo immenso non è mancata qualche lacrima.
Ma quanto sono scema, ho pensato.
No. Non valgo solo per quello che so fare. Valgo prima di tutto per quello che sono. E per quello che scelgo di essere.
La signora Efisia
Torno a scrivere qui dopo tanto tempo.
Tante volte avrei voluto farlo ma poi sembrava che mancassero le parole. Non che le abbia ritrovate tutte, alcune giaciono in attesa di essere ripescate. Ma riprendere a scrivere qui è sempre un bell’esercizio, con me stessa.
Giovedì scorso sono andata in ospedale a trovare la nonna, che era lì da qualche giorno per una crisi d’asma.
Mi ha fatto impressione entrare nell’ospedale. Ho percorso tante volte i corridoi alla ricerca di quello giusto dove era la nonna e ho incrociato, guardando nelle stanze, tanti volti, per lo più di anziani.
Mi è venuto un groppo in gola, ma non capivo cosa lo muovesse.
Poi finalmente sono arrivata nella stanza giusta.
Nel letto accanto a quello della nonna c’era una signora con una flebo nel braccio che mi guardava.
Ad un certo punto mi ha detto: “Signorina, mi può fare un favore?”. “Certo!”. “Mi può girare?”. “Ok”. L’ho girata e dopo mi ha chiesto di grattarle la schiena. Le ho grattato la schiena. Poi ha chiuso gli occhi, come per dormire.
Poi ha riaperto gli occhi e dopo un po’ la scena si è ripetuta.
Quando era ora di andarmene, mi sono voltata e le ho chiesto: “Come si chiama”? Lei mi ha risposto. “Efisia”. “Come scusi?”. “E-f-i-s-i-a”.
E’ una cosa che ho imparato ultimamente, quella di chiedere il nome delle persone che incontro. Mi capita al mercato, ai ragazzi che vendono gli occhiali davanti all’università… Crea un legame, chiedere il nome. Non è più solo un volto, è un universo che ti si staglia davanti e che tu per qualche minuto puoi accogliere dentro di te.
La signora Efisia. Prima di uscire dalla stanza mi ha fatto un grande sorriso.
Mi sono chiesta cosa vuol dire stare nel letto di un ospedale e avere bisogno che qualcuno ti gratti la schiena.
Sono uscita da quell’ospedale sotto la pioggia, senza ombrello. Con negli occhi il sorriso della signora Efisia che si è allargato davanti per ringraziarmi di quel piccolo servizio che le avevo fatto. Sentivo che il mio cuore per un po’ era diventato più largo e per qualche tempo aveva trovato spazio anche la signora Efisia.
Ecco, forse il groppo in gola entrando in quel luogo era la paura di non saper meritare una “vita piena”. Di non sapere avere un cuore largo. Un cuore capace di allargarsi. Che non condanna, che comprende, che accompagna.
Non ne sono capace, conosco i miei infiniti limiti con cui ho a che fare tutti i giorni. Ma almeno ci voglio, ci posso provare.
Essere pronti a perderlo
Momenti preziosi. Momenti forti. A volte solo il prospettarsi di certe possibilità di ‘tagli’ ti ricordano la bellezza e la ricchezza di certi rapporti, quanto non siano e non possano essere scontati, anche se pensi già di saperlo.
E la questione di sapersi creare i giusti equilibri, non scappare per paura di soffrire ma anzi, gustare e sentire ancora più prezioso quello che c’è.
Con la consapevolezza, e non solo, la certezza, che per “possedere” qualcosa per davvero bisogna essere pronti a perderlo.
“Non appoggiarti all’albero: deve seccare. Non appoggiarti al muro: deve crollare.”
E se …
Papa Francesco ci ha insegnato che il suo modo di agire non segue un canovaccio di cui bisogna a tutti i costi trovare un senso. È molto istintivo e poco calcolatore, anche se usare bene gli strumenti che ha a sua disposizione.
Ma per una volta voglio fare un po’ la complottista nei suoi confronti, me lo perdonerà. Ecco, ho una piccola grande convinzione: che a Papa Francesco non dispiaccia molto essere in questo giorno di fiumi di parole e talvolta di retorica ‘nascosto’ al mondo in quel di Ariccia per gli esercizi spirituali di quaresima. E in fondo in fondo ho la sensazione che non sia proprio un caso.
Ovvio che non posso esserne sicura, ma non mi stupirei se scoprissi che questo essere ‘lontano’ dai clamori mondani oggi sia stato voluto sapientemente mixando le congiunture di calendario.
Sarebbe un segno molto forte.
Ogni giorno
Stamattina al bar un signore seduto mi guarda e mi dice: “Giovane.. tu sai cos’é l’amicizia?”
Sto per rispondere e mi interrompe: “Lo vedi quel signore laggiù? Quello é il mio migliore amico.. siamo nati nel ’39, siamo nati e cresciuti insieme, io gli ho fatto da testimone a nozze e lui l’ha fatto a me.. abbiamo comprato la terra da lavorare insieme e tutti i giorni venivamo in questo bar e prendevamo un bianchino e leggevamo le notizie.. Lui me le leggeva perchè io non so leggere. E io ascoltavo. Sempre insieme. Nel 78 abbiamo litigato, ce le siamo anche date e da quel giorno non ci siamo più parlati, neanche un ciao. Beh, ti diró, dal 78, nonostante tutto, ogni giorno veniamo qui, sempre alla stessa ora. Ogni giorno ci vediamo, non ci salutiamo e ci sediamo in due tavolini differenti. Entrambi prendiamo un bianchino, tutti i giorni lui prende il giornale e legge le notizie ad alta voce. La gente pensa che sia matto, ma lo fa per me. Dal 78. ” Sonia Manno
Non rimpiangere, ricomincia!
Rimpiangere vuol dire piangere due volte. Preferisco ricominciare, sempre e nonostante tutto. (I.L.)
Qualche giorno fa parlavo, davanti ad una pizza, con una persona saggia. Le raccontavo alcune difficoltà, alcuni rimpianti che ogni tanto vengono su cose passate e lei mi ha detto una frase che aveva sentito tanti anni fa: ‘non devi guardare le cose di ieri con gli occhi di oggi’.
Mi sono convinta che ha ragione.
Mi sono convinta che la nostra vita è piena di giri strani, ma solo dopo averli percorsi ci si chiarisce il senso.
Ma serve pazienza e fiducia. E serve saper ricominciare, sempre.
Pattinatori o … pubblico? – ¿Patinadores o público?
Stavamo passeggiando dopo pranzo con la mia sorellina. Mi ha raccontato una cosa che l’ha colpita guardando in questi giorni le gare di pattinaggio alle Olimpiadi. Mi diceva: “Lo sport è davvero un maestro di vita.
Vedi, tu stai facendo la tua gara e ad un certo punto cadi. Ma non puoi stare lì per terra. Ti devi rialzare subito e continuare, nonostante l’errore, nonostante hai ormai compresso la tua gara. Ma soprattutto devi continuare a sorridere, come se nulla fosse successo anche se dentro di te sei arrabbiato, deluso”.
Ha ragione. Quante volte succede anche nella nostra vita? Ho provato ad immaginare la scena e mi è venuta in rilievo un’altra cosa. Che a volte il pubblico, quando intuisce la difficoltà, incomincia ad applaudire per incoraggiare il pattinatore nel tuo rialzarsi.
Ecco. Nella vita ci troviamo spesso nella parte dei pattinatori. Ma possiamo anche trovarci nei panni del pubblico assistendo alle cadute degli altri. Ed è lì che possiamo fare la nostra scelta: essere spettatori, e magari ancora infierire. Oppure diventare parte attiva del ricominciare degli altri incoraggiando, sostenendo e accompagnando, chi è caduto, nel suo rialzarsi.
La mia amica Melisa mi ha mandato la traduzione di questo articolo anche in spagnolo 🙂
Estábamos caminando después de almuerzo con mi hermanita y me contó algo que la impresionó mucho mirando en estos días las competencias de patinaje en las Olimpíadas.
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