Esami

LibriPeriodo di esami. Per questa sessione finito.

Ieri, nel panico pre-esami ad un certo punto è riaffiorato un po’ di scoraggiamento, quella lieve e sottile sensazione di non farcela, che fosse più semplice gettare la spugna. Un esame tosto, per un’informatica come me che si trovava a dover padroneggiare e contenere il mondo della filosofia, anche se in ambito comunicativo. Soprattutto quella impressione, quello scrupolo di non essere abbastanza preparata e non essere sicura di aver davvero fatto fino in fondo la mia parte.

Ma una persona saggia mi ha ricordato una cosa. Che sì, quando affrontiamo un esame ci piacerebbe sapere la domanda in anticipo per poterci preparare per bene. Eppure, eppure ci aspetta un esame di cu conosciamo argomento e domande con molto anticipo ma … rischiamo seriamente di non essere preparati mai abbastanza lo stesso.

Win-win strategy

ping-pongIl “dibattito” politico – sempre che così si possa chiamare – di questi giorni, ma in generale di un lungo periodo a questa parte, mi sta proprio dando la nausa. E me la dà per tutta una serie di motivi che però non sto qui ad elencare.

“Tu che mi provochi / io che mi vendico / ti pesto i piedi / ti rodi il fegato / un’escalation di torti / se prendo quel che è tuo distruggi quel che è mio / se mandi i fulmini ti mando al diavolo … ma non mi tornano i conti”

Ecco. Mi sembra si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Dispetti, dispettucci, ripicche, “hai cominciato tu”, “no, tu hai continuato”, “eh, ma siamo stati provocati”,  mani che si alzano, insulti gratuiti, quelli che si approfittano per fare i loro interessi e sembra lo facciano apposta, interviste con domande fuori luogo, gente messa alla gogna mediatica solleticando i bassi istinti dell’uomo, e se lo faccio io va bene, se lo fai tu no … la lista sarebbe davvero troppo lunga!  E poi magari andiamo anche alle manifestazioni contro la guerra … ma questa non è una guerra? Mi piace, nel nuovo arrangiamento di questa canzone di cui state leggendo alcune strofe, lo “sfogo” che produce questo continuo conflitto: “Dacci un taglio!”

“Spezzano il filo e allora tu riannodalo / guardano storto e allora tu sorridi / è la vendetta perfetta”

Io mi sto stufando. Mi sento nauseata da tutto questo al punto che non voglio sapere di chi è la colpa, di chi ha cominciato prima. Perché la colpa sarà un po’ di uno e un po’ dell’altro, nessuno se ne può tirare fuori.
Io adesso vorrei soltanto sapere chi ha il coraggio di mettere da parte l’orgoglio per fare il primo passo.
Si, cari politici tutti, azzurri, rossi, verdi, gialli, arancioni, rosa …
Abbiamo bisogno di qualcuno che faccia il primo passo, che, al di là di tutto, sappia costruire e non distruggere, sappia mettere sincerità dove ha messo imbroglio, sappia dialogare e non urlare, sappia togliere le pietre dal muro invece che continuare ad accumularle. A costo di dover “perdere” qualcosa. A costo di venirsi incontro. A costo di ascoltare, a costo di camminare nelle scarpe dell’altro e accorgersi che forse non sono poi così tanto comode.

Io, il mio voto, alle prossime elezioni lo darò a chi saprà ORA darci un taglio, a chi ORA farà il primo passo per invertire questo triste spettacolo e che sappia spezzare questo infinito circolo vizioso in cui ci piace ficcarci, tutti quanti.

“Ma mi hanno detto di una nuova tattica / che non è facile ma in poche mosse da / lo scacco matto ai dispetti / La chiamano così win-win strategy / si vince insieme qui / non paga il muro contro muro! A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / chi nel muro vedrà una porta e l’aprirà / forse è poco ma / avrà meno buio nel cuore / A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / e dal muro che c’è una pietra toglierà ogni gesto che sa spalancare il cuore”

Le citazioni sono di Win-win strategy, canzone del Genverde che ho preso a prestito e che mi ha dato il senso di “nausa” percepita in questi giorni.

Ricominciare. Sempre.

Metafore di vita.

PallavoloInfine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco. Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo.

(lettera di Mauro Berruto, allenatore della nazionale italiana maschile di pallavolo)

Se tutti facessero così

Mano tesa Una storia vera, accaduta ieri a Roma. Nelle parole di chi l’ha vissuta in prima persona.
Mi piace, questo mondo!

Il mio autobus sta arrivando, ma io sono ancora dall’altra parte della strada. Attraverso di corsa. Ho bisogno di prendere QUELL’autobus. Devo arrivare puntuale. Raggiungo il bus alla fermata. Ha già chiuso le porte. “Busso” al conducente che mi guarda e parte. Un signora dalla sua 500 ha visto la scena. Si ferma e mi dice: “vieni su, lo raggiungiamo 4 fermate più avanti”. Accetto e salgo. È una donna non italiana, dall’aspetto molto “materno”. Nei 5 minuti insieme, condivide con me la sua macchina e anche i suoi dolori: un figlio “costretto” ad emigrare in Australia per trovare lavoro e una figlia che ha studiato tanto (due lauree), ma non trova lavoro. Vuole sapere di me. In breve le racconto l’anima di ciò sono oggi…e siamo già alla fermata del bus. Prima di scendere la ringrazio e le assicuro le mie preghiere per lei e per la sua famiglia e lei fa lo stesso. La ringrazio ancora e le dico che lei oggi è stata un angelo per me, e lei mi dice: SE TUTTI FACESSERO COSÌ IL MONDO SAREBBE PIÙ BELLO!
… e ora sto arrivando puntuale all’università, con le lacrime agli occhi, felice di aver incontrato l’amore più puro, quello che – anche nel dolore – ama per primo, ama tutti, costruisce una nuova umanità.

(di Andreas Virdis, dal suo profilo Facebook)

La nebbia. E un tir.

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Ieri sera ho guidato da Busto Arsizio, dove sono stata a vedere una partita di pallavolo, fino a casa. Ho macinato un po’ di chilometri, al ritorno guidando attraverso grandi banchi di nebbia.

Mi è sembrata rappresentare, in ogni sua fase, la metafora di una vita. Quella vita che a volte è anche un po’ la mia.

Succede così. Che tutto sembra chiaro, limpido. E allora si va spediti.
Poi però incontri un banco di nebbia e allora devi rallentare, devi fare attenzione. Devi ‘cercare’. A volte neanche accendere gli abbaglianti o i fendinebbia migliora molto la situazione. Non vedi dove vai, ti chiedi che cosa ci sarà il prossimo metro.
Ma sono domande che restano senza risposte e non puoi che fare altro che continuare ad andare avanti, nella speranza che prima o poi si diradi un po’ quella nebbia che invece in certi punti sembra essere ancora più densa e pericolosa.

Poi succede che arriva un tir, con tante luci sul posteriore che sembra un albero di Natale. Ti si piazza davanti ed incosapevolmente ti fa strada. Ti guida. Illumina quel pezzo di asfalto davanti a te, non può certo far sparire la nebbia, ma apre dei varchi nell’incertezza e nella confusione.
Non sempre ti ‘tira la volata’ fino alla fine, ma ti da un aiuto indispensabile per quel pezzo di strada che condivide con te.
Alla fine la nebbia si dirada. A volte, non sempre.

Questa la storia che ho vissuto ieri sera alla guida di una auto. Questa la storia che vivo ogni giorno: da automobilista, ma magari inconsapevolmente anche da Tir.

Un pezzo di pizza

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Vi ricordate la mia amica D.?
Oggi ne ha combinata un’altra.

Quando riesce alla mattina va a salutare un ‘amico’ in pieno centro, a Torino.
Stamattina, mentre usciva, al cancello c’era un signore che mendicava.
Lui stava lì, accovacciato e quasi nascosto da una pianta, chiedendo una moneta. Ma è sempre una storia molto complicata il rapporto con chi mendica. E spesso D. si trova in queste situazioni con un grosso peso nel cuore.
D. gli ha fatto un sorriso e gli augurato buona giornata. Già superare il muro dell’indifferenza è un buon punto di partenza.

Ma poi un pensiero: oggi per pranzo da casa si era presa della pizza. Perché non condividerne un pezzo con lui?
D. non ha voluto nemmeno ascoltarla, quella vicina sottile che provava a dissuaderla.
Ha aperto lo zaino e ha preso, dei due che aveva con sè, il più grosso dei pezzi di pizza.
E gliel’ha porto.
Ha ricevuto in cambio un sorriso e un grazie commosso di quella mano tesa che aspettava da lei una moneta.

Il quarto gancio

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Stavo riposando la chitarra nella sua custodia.
Gancio1 chiuso, gancio2 pure. Il terzo ha fatto un po’ più fatica ma poi è andato.
Ma il quarto no, non ne voleva sapere, perché avevo lasciato la tracolla attaccata e giustamente sporgeva un po’ dalla custodia.

Che fare? La tentazione data l’ora: lasciare tutto così, tanto con gli altri ganci chiusi non sarebbe successo nulla.
Ma poi no. Meglio chiuderla per bene. Ho riaperto il terzo gancio ma niente, non bastava.
Così sono dovuta tornare indietro e aprire tutti i ganci, ho sistemato la tracolla dentro alla custodia e ho richiuso il tutto.

Mi è sembrata la metafora di una vita: a volte quando qualcosa non funziona, anche nei rapporti con le persone, bisogna ‘riavviare’ il nastro, Ricominciare come se nulla fosse successo.

Date e vi sarà dato

SpigheUn’amica, che chiameremo D., mi ha permesso di raccontare la sua esperienza.

Lei è una 25enne, per adesso informatica, un po’ fissata con una vita che si possa equilibrare tra i piedi ben piantati a terra con le cose ‘dai tetti in sù‘.
Direi che potrebbe quasi quasi esser la mia, di descrizione.

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Una preghiera a Chiara Luce

Chiara LuceIl tuo sorriso, cara Chiara, parla per te. Allora come oggi, dopo tanti anni.

Ti chiedo questo, se puoi: insegnami quella tua normalità che ti faceva essere il cuore sempre in Cielo e con i piedi ben radicati su questa terra.

Quella semplicità che sapeva ascoltare, confidare, mettersi in gioco. Non accontentarsi. Che faceva sentire ciascuno speciale, perché speciale lo era già per Qualcuno.

Ti immagino come in un’onda: quell’onda che una volta approdata alla riva, ritorna indietro incontrando e intrecciandosi alle onde che la rincorrevano.

Ecco, tu l’onda già arrivata. Noi le onde che rincorrono.

Sorreggici quelle volte che ci perdiamo, ci intestardiamo quando i giri sembrano non seguire il percorso tracciato da noi. Che ci sfiduciamo di fronte alle difficoltà, alle sfide che la vita ci mette davanti. Che non sappiamo fare spazio a chi ci sta davanti come fosse la cosa più importante che abbiamo da fare. Che non sempre ricordiamo che abbiamogià, tutto.

“Corri corri dimmi che non c’è, nulla da temere”.

Lo cantiamo tante volte, ma poi a volte non è facile crederlo.
Fa che questa sia la nostra normalità. Fa che un po’ possiamo essere come te.