Ieri mentre il Papa (a quell’ora non era ancora Emerito) sorvolava Roma il pensiero era tutto per l’uomo Ratzinger.
Qualche minuto prima aveva salutato tutti, il suo segretario si era commosso. E poi l’elicottero si era alzato.
Io guardavo il tutto da un buchetto dello schermo emozionata come se stessi accompagnando alla partenza un amico intimo.
Guardando di sfuggita quell’elicottero bianco sorvolare Roma cercavo di immedesimarmi e mi chiedevo quante e quali instantanee gli passassero negli occhi, per la testa, in cuore. Poi l’ho visto a Castel Gandolfo, in quel luogo per me anche così familiare e che con i suoi grandi alberi al tramonto lascia sempre negli occhi molta suggestione.
Ed era ancora si, stanco, ma sereno, tranquillo. L’ultima cosa che ha detto è stata: buonanotte, la cosa più semplice che poteva uscire dalla sua bocca. Un’ultima, ulteriore lezione di ‘normalità’.
Preso dall’emozione, Benedetto ha sbagliato la formula della benedizione. Un Papa umano. Si è girato e in quel momento la brezza leggera dei Castelli faceva ondeggiare in un’immagine suggestiva il drappo posto sul balcone da cui Benedetto si era appena congedato per l’ultima volta.
Solo la storia saprà dirci la grandezza di questo Papa, che ho faticato ad amare all’inizio e che ho incominciato ad apprezzare tardi, nel momento in cui anche nella mia vita ho incominciato a fermarmi, a leggere tra e dentro le cose.
E che adesso già un po’ mi manca.
Grazie, Benedetto.